Ed in fine tutto vola
Testo di Carlo Pizzichini
Se dovesse avere una voce, il vaso, avrebbe il timbro di Angelo Zilio.
Calda, accogliente, gentile, scavata, con una piccola eco, chiusa ma aperta, risonante di storie, interna ed esterna, rombo sussurrato dell’inconscio, privato e personale, ma capace di accogliere tutto ciò che vi viene messo: dall’effimero alla memoria storica. Canta o recita, Angelo Zilio, il suo personaggio, anzi lo forgia al tornio, in numerose copie, uguali e sempre diverse, ne libera la Speranza a dispetto di Pandora, lo stringe tra le mani, gli da forma, gliela toglie, lo apre all’esterno, lo lacera, ne fa nascere per incanto cavalli e cavalieri, visioni zoomorfe, cavallucci marini, animali domestici in selvatiche pose. Sussurra all’interno del vaso parole, e quell’argilla gli ubbidisce, ammaestrata da mani grandi ma delicate in carezze d’amore che sostengono il vaso in alto, per farlo librare, come si fa con i bambini che sorridono nell’attimo di sospensione, liberi di volare.
Ritorna a cavallo, nella terra di suo padre (che aveva lavorato tra Nove e Bassano del Grappa alle fornaci di mattoni Le Marchesane) ad impastare la terra e trasformarla nel simbolo del popolo, in vaso; e i vasi in cavallo, cioè in quel reperto della memoria, in quella vestigia di storia, cara all’uomo di tutti i tempi, che porta la patina di cenere di Pompei, dei gonfi toraci dei cavalli da parata o delle contorte anatomie di Agenore Fabbri.
Quel fuoco di legna che Angelo scatizza e alimenta fino ad alte temperature, riverbera l’arancio della fiamma sull’orlo del bicchiere di rosso, alzato nel brindisi alla magia della terra e dell’acqua sanguinolenta di Medusa dove Pegaso parte in volo, libero, in una nube di stelle. Costellazioni e vaticini che nottetempo sciolgono le briglie verso nuove avventure formali. Angelo Zilio così attraversa i cieli di tutte le tecniche della ceramica: ora maiolica, rosso rame, bucchero e poi ingobbio, porcellana, raku. Trasforma l’oggetto principe del ceramista, ancora fresco d’argilla, in teste equine, parti di ventre, vasi in volumi, ciotole in muscoli, tazze in zoccoli, come immaginate in quell’ideale riordino di pensieri dei taccuini di disegni.
La sua formazione alla Fornace Ibis di Cunardo dei fratelli Robustelli e l’esperienza acquisita con Shozo Michikawa, gli offrono la forza perché quel sottilissimo muro d’argilla che divide l’aria interna da quella esterna, e che da forma al vaso, possa essere superato, lacerato, aperto, avvolto e riavvolto nello spazio e nel tempo. La lezione dei vasi sconvolti di Zauli, il tocco di Lucio Fontana e di Aligi Sassu, fanno nascere come per incantamento, da quelle deformazioni, nuove fogge di memorie, scene, conchiglie ed ancora vasi, nascosti all’interno di masse pietrificate in cubi di materia primordiale, come piriti scintillanti di smalto che portano all’interno quella goccia d’aria, quel respiro caldo e appassionato, la voce di Angelo Zilio.
Carlo Pizzichini
Titolare della cattedra all’Accademia di Belle Arti di Firenze
Direttore artistico del Premio Antica Arte dei Vasai