Viaggio nel segno di Fontana
mostra ad Albissola
Nel segno di Fontana Stella Ranza è cresciuta. Accompagnata dalle carte, dagli oli, dalle lettere, dagli schizzi, dalle collezioni, del nonno Riccardo. La biografia di Stella è così intima alla storia della famiglia che se le si chiedesse di scrivere per un suo antenato forse avrebbe la stessa calligrafia.
È eredità genetica, anzi epigenetica, assorbire nei propri geni l’ambiente che ci circonda.
Questa scrittura, questo corsivo, nelle sue ceramiche odierne, è quanto mai vicino al corsivo di Lucio Fontana, alle sue ceramiche sacre e naturalistiche che oggi per noi fanno da ponte tra il Fontana artista dei primi del Novecento e il Fontana rivoluzionario dell’arte contemporanea del dopo guerra.
Ceramica-gesto-materia. Parole interessanti negli anni Trenta e adesso quasi classiche. Stella all’inizio di questo viaggio ha scelto di invitare colleghi e amici a percorrere un cammino per ritrovarsi all’insegna dell’amicizia e della collaborazione proprio come accadde al nonno Riccardo con gli artisti che anche in queste pagine lo accompagnano.
Così facendo, Stella ha dato la possibilità a tutti di entrare in intimità co Lucio, di scandagliarlo e di leggerlo da un punto di vista cosìsegreto che ha permesso loro di dormire, disegnare, cuocere, saldare, accanto a carte veline leggere, preziose, segnate di spazi destinati a crescere. Nel periodo di ascolto, ricerca, studio, elaborazione, ciascuno dei quattro artisti ha ascoltato Fontana nel suo segno, ha capito il suo messaggio e valore ancora attuale, ha lavorato con la propria ispirazione e indole a segni nuovi, perfettamente autonomi, ma volti a dare un senso all’arte di Lucio in questo secolo, in questo decennio. Per questa originalità il progetto si colloca tra lo storico e il poetico. Accompagnando con la parola queste fasi, anche scrivendo ci atteniamo a delle nascite piuttosto che a delle enunciazioni. È un mondo che si fa, si crea, dalle mani di quattro artisti, seguiti da vicino anche da un fotografo, perché il mondo di Fontana è vivo più che mai capito più di prima, sentito e vibrante anche in un passaggio epocale drastico sulle proprie scelte estetiche, economiche, morali.
Il progetto ha una sua forte moralità. Stella la esprime giocando tra le materie finemente elaborate, preziose, piene di linfa vitale, delle ceramiche e delle terrecotte, gli smalti, gli ori lucidi, le forme che hanno le sue impronte ma ci narrano dinamiche care a Lucio nei disegni degli anni Trenta e riprese poi nelle sculture sacre dal’47 al’57. Guizzi fugaci di materia sembrano volare come fiamme, pennellate di tensioni materiche occupano spazi che le raccolgono come una conchiglia la perla. Teatrini, vicini a quelli di fontana e Melotti, disegni liberi, fluidi, dentro il tempo senza un prima e dopo. Stella Ranza interpreta così l’essere lei stessa Fontana oggi. È questa la novità. È questa l’eredità.
Sulla stessa materia si esprime Angelo Zilio, di struttura meno favolistica e più vicina a una materialità costruttiva, concreta, che raccoglie da Fontana la spinta anche civile-sociale della dimensione profetica dell’artista, ne fa anima dei testimoni, del San Giorgio, dei Cavalli, in una verticalità che riscatta la ceramica dal suo uso quotidiano -come Fontana, Leoncillo, Melotti e gli altri volevano appunto- per renderla elemento liturgico della vita stessa, prezioso strumento del tempio sacro dell’arte. Più drammatico di Stella, Angelo incide e lavora la creta con mani e bastoni, perché tutto partecipa alla creazione, al ‘poiein’. Il forno va per entrambi. Fiamme e ossidi, smalti e pitture a freddo, alte cotture e doppie cotture, alchemicamente parlando si risvegliano dinamiche che accomunano gli artisti 100 anni fa come oggi. Per Angelo il segno di Lucio è un viaggio solenne, che inizia con un credo interiore e arriva dove la materia si compie riverberando luce. Sempre vivido, mai scontato, nelle sue figure Angelo evoca soggetti e estetiche che oggi rivestono un senso nuovo: il gesto, il lavoro, la produzione ceramica, dalla tradizione diventano innovazione.
In queste pagine abbiamo la possibilità di contemplare i disegni di Lucio Fontana, come quelli di Crippa, Melotti, Rogers, Birolli, di sentire la loro impronta dentro la penna, il carboncino, il pastello, la china. Samuele Arcangioli si mette alla prova su questo poter mesmericamente lasciare che la mano tracci spirali nell’oro, segni di sguardi, un’Elica di ritratti che ci hanno portato nello spazio della nuova arte. L’arte che Fontana ha radicalmente cambiato per sempre e che Samuele oggi cerca di ricomporci nelle sue diverse ‘sfaccettature’ (tante facce) insieme a brevi pensieri del maestro, lettere, espressioni, definizioni. Gessetti, carbone, matite e quello che non sapremo mai, corrono su fogli e foglietti su una parete che si restringe e si amplia a seconda della teoria dell’universo che decidiamo di avvalorare, dalla relatività alle onde gravitazionali alla fisica quantistica. Il lavoro di Arcangioli è quantistico e si compone e ricompone seguendo energie e non materia da ogni angolo temporale, è ieri e domani, antico e nuovo, spontaneo e magistrale. Lucio Fontana si sarebbe guardato dentro i suoi disegni come in uno specchio. E forse lo sta facendo davvero.
Forse questo progetto è fatto per scandalizzare chi vuole a tutti i costi cercare note e rimandi, citazioni e idem come sopra. Ma è un progetto vitale così intenso che non può permettersi passi indietro, l’arte di questi artisti Nel segno di Fontana è sincera e potente, per questo dialogano familiarmente con un grande come lui. Vittorio D’Ambros ad esempio non teme di mimetizzarsi come un camaleonte nel suo habitat di ferri e ruggine e acciaio, scorie di metalli schizzati come polveri cosmiche su chissà quale gesto. Salda, trancia, scava, agglomera, fonde, incolla col catrame.
In queste pagine abbiamo la possibilità di contemplare i disegni di Lucio Fontana, come quelli di Crippa, Melotti, Rogers, Birolli, di sentire la loro impronta dentro la penna, il carboncino, il pastello, la china. Samuele Arcangioli si mette alla prova su questo poter mesmericamente lasciare che la mano tracci spirali nell’oro, segni di sguardi, un’Elica di ritratti che ci hanno portato nello spazio della nuova arte. L’arte che Fontana ha radicalmente cambiato per sempre e che Samuele oggi cerca di ricomporci nelle sue diverse ‘sfaccettature’ (tante facce) insieme a brevi pensieri del maestro, lettere, espressioni, definizioni. Gessetti, carbone, matite e quello che non sapremo mai, corrono su fogli e foglietti su una parete che si restringe e si amplia a seconda della teoria dell’universo che decidiamo di avvalorare, dalla relatività alle onde gravitazionali alla fisica quantistica. Il lavoro di Arcangioli è quantistico e si compone e ricompone seguendo energie e non materia da ogni angolo temporale, è ieri e domani, antico e nuovo, spontaneo e magistrale. Lucio Fontana si sarebbe guardato dentro i suoi disegni come in uno specchio. E forse lo sta facendo davvero.
Forse questo progetto è fatto per scandalizzare chi vuole a tutti i costi cercare note e rimandi, citazioni e idem come sopra. Ma è un progetto vitale così intenso che non può permettersi passi indietro, l’arte di questi artisti Nel segno di Fontana è sincera e potente, per questo dialogano familiarmente con un grande come lui. Vittorio D’Ambros ad esempio non teme di mimetizzarsi come un camaleonte nel suo habitat di ferri e ruggine e acciaio, scorie di metalli schizzati come polveri cosmiche su chissà quale gesto. Salda, trancia, scava, agglomera, fonde, incolla col catrame.
Quanto di più violento si possa immaginare nello sforzo artistico del creare, ha nello studio di Vittorio una cucina che trasforma e sintetizza tanto peso in altrettanta concentrazione di leggerezza. Anima. Le opere di D’Ambros fatte in dialogo con il fondatore dello Spazialismo, sono opere vicine alle sue idee di nuova era spaziale, galassie in allontanamento veloce dalle leggi consuete del mercato, fuggite dal prevedibile per rivestirsi di senso profondo, capace di coniugare figurale e non figurale, proprio come Fontana proclamava il Manifesto spazialista dei tagli, dei buchi e dei Concetti, facendo Struttura al neon e poi le porte del Duomo di Milano. I Fini di Dio è diverso da Le fini di Dio. Fontana sarebbe stato entusiasta della sonda su Plutone. Vittorio forma, scompone, compone, taglia, la propria idea di spazio e tempo, di vuoto e pieno, di assenza e gravità, con una sottile melodia cosmica planetaria, pitagorica, appoggiata alle squadrette, le stesse di Lucio vicino al cavalletto, o ai taglierini e ai punteruoli che tutto sono fuorché un consueto strumento da pittore. Le opere di D’Ambros recano così ferite. Ma anche suture, tagli e fratture, come se a dialogare fossero quelli di Fontana con alcune carte di Leoncillo, come se Vittorio non facesse il cosmo ma l’essere lui il Cosmo. Volti senza corpo, pianeti dalle perdute orbite, sfere quasi musicali, il cosmo dell’artista contemporaneo con la lezione dell’amico Fontana non cambia se stesso e la sua natura, solo la rafforza, ci va al passo.
Può sembrare scontato in tutto questo dialogo la presenza di uno ‘specchio’ che rimanda a tutti la propria immagine lungo il cammino, ma non lo è. La ripresa fotografica, quella con la pellicola di ieri e la foto numerica di oggi, non si ferma alla rappresentazione ma offre una direzione, insegna un modo per guardare le cose, ci ammaestra, dolcemente, lo sguardo. Roberto Molinari fotografa da qualche decennio gli artisti come solo un’ombra sa fare accanto a un muro in estate. Silenzioso, modesto, ispirato, si muove a passo leggero fra le opere, scattando non solo il simulacro ma l’anima che lo lega al suo fautore. Roberto nella fotografia d’arte non sigilla l’attimo, lo lascia scorrere, aperto. Lo scatto blocca il gesto o la luce sulla superficie ma è nella sua inclinazione la non stasi, il divenire. Se guardiamo oggi foto scattate venticinque anni fa ad Albissola Marina, capiamo che proprio in questo istante quelle persone ci stanno parlando, oggi, non ieri. È così che Roberto ha lavorato Nel segno di Fontana, portandoci un tempo e dei tempi a coesistere negli spazi. Luce-diaframma-obiettivo sono tutt’uno dentro e fuori, la membrana dello scatto permea l’ambiente spaziale, il tempo è dentro quello che ci riporterà l’immagine, colore, bianconero.
C’è una religiosità anche in Roberto elegante come lo stile di Fontana. Tutto è tutto, la vita si osserva guardando. Molinari ci ferma ogni volta per dirci insieme a Lucio che ‘da quei buchi filtrerà nuova aria’ e un gesto non sarà eterno ma immortale.
Questi artisti hanno lavorato insieme mantenendo tutti la propria identità e rispettando la differenza e la somiglianza di certi passi con il maestro dello Spazialismo.
L’arte non è lasciar manufatti nel mondo, è porre domande a cui poi,
col tempo,
potremo,
forse,
rispondere.
Debora Ferrari
Viaggio nel segno di Fontana
Arcangioli, D’Ambros, Ranza, Zilio, Barbieri, Molinari
Dal 2 luglio al 7 agosto 2016
MUDA e Galleria Blu di Prussia – Albissola Marina (SV)